INTRODUZIONE ALL' AGENDA DI MÈRE
                                  

 
 
Quando oltrepasseremo l'umanità,
allora saremo l'uomo
.
SRI AUROBINDO

 
 
     Questa Agenda... Un giorno, un'altra specie fra gli uomini volgerà gli occhi a questo favoloso documento come al dramma tumultuoso che dovette circondare la nascita di un primo uomo in mezzo alle orde ostili di un immane Carbonifero delirante. Un primo uomo è la contraddizione insidiosa di una certa logica scimmiesca, e la minaccia a un ordine costituito che correva beato fra altissime felci imprescrittibili. Intanto, un primo uomo non sa neanche di esser tale. Si domanda, beh, che cosa possa esser mai. È qualcosa di estraneo a sé, di doloroso a sé. Non sa più neanche arrampicarsi sugli alberi come al solito. E poi è talmente scomodo per tutti gli altri che si arrampicano sugli alberi seguendo la vecchia abitudine millenaria. Non si tratterà magari di un'eresia? O di qualche malattia cerebrale? Deve aver avuto un bel coraggio, quel primo uomo nella sua minuscola radura. Ma neanche quella radura minuscola era più tanto sicura. Un primo uomo è una domanda senza fine. Ma che sarò mai in mezzo a tutto questo? E poi dov'è la mia legge, qual è la legge? E se non ci fossero più leggi?... Una cosa spaventosa. La matematica che non sta più in piedi; e così pure l'astronomia e la biologia, che si mettono a rispondere a influssi misteriosi. Un punto minuscolo raggrumato nel bel mezzo della grande radura del mondo. Che vorrà dir mai 'sta faccenda? Fossi magari «pazzo ? E poi, artigli tutt'intorno, un'infinità di artigli protesi contro quest'insolito prodotto. Un primo uomo è molto solo, davvero. È assolutamente insopportabile per la «ragione» pre-umana. E dalle tribù d'attorno si levava un suono minaccioso, come un coro di scimmie rosse nel crepuscolo della Guiana.
    Un giorno ci siamo ritrovati simili a quel primo uomo, in un' immensa notte stridula sulle rive dell'Oyapock. Il nostro cuore pulsava come dovesse trovare di nuovo un mistero antichissimo. E d'un tratto è stato qualcosa di assolutamente nuovo ritrovarci ad essere un uomo in mezzo alle cascate di diorite e agli splendidi elapi rossi e neri che scivolavano silenziosi sotto il fogliame. Era ancora più straordinario essere un uomo di quanto non lo pensassero le nostre vecchie tribù assestate tra le loro equazioni infallibili e le loro biologie imprescrittibili. Ma si trattava di un «quanto» oltremodo incerto e che sfuggiva deliziosamente a quanto ne potessimo pensare, persino a quanto ne potessero pensare tanti uomini dotti. Era qualcosa che correva in un altro modo, che sentiva in un altro modo. Che viveva in una sorta di continuità ininterrotta assieme alla linfa degli immensi balàta, al grido delle are e all'acqua spumeggiante nella piccola conca. Era qualcosa che «capiva» in modo assolutamente diverso. Perché capire voleva dire essere dentro a tutto: un attimo, ed eccoci nella pelle della piccola iguana giù a capofitto dal suo ramo. La pelle del mondo diventava immensa. Essere un uomo, in capo a un milione di anni riscoperti, voleva dire, misteriosamente, essere qualcosa di diverso anche da un uomo, una sorta di strana possibilità non ancora messa a punto capace però di ogni sorta di altre cose. Non si trattava di qualcosa di già incluso nel repertorio, ma di qualcosa di mobile e senza confini - diventato un uomo per abitudine, eppure in realtà prodigiosamente vergine -,  come se tutte le consuetudini non fossero che le leggi di antichi barbari ritardati. Allora altre lune si mettevano a solcare il cielo col grido delle are nel tramonto, e un altro ritmo sorgeva, stranamente accordato al ritmo di ogni cosa, formando come un unico flusso del mondo. E così andavamo, leggeri, come se il corpo non avesse mai avuto altro peso che quello del nostro umano pensiero: e le stelle erano vicine, e persino i grandi aerei rombanti parevano un artificio vano sotto ridenti galassie. Essere un uomo voleva dire un immenso possibile. Voleva dire essere il grande scopritore del Possibile. Quella precaria invenzione non aveva avuto mai altro scopo, tra i milioni di specie, che farci scoprire ciò che oltrepassa proprio la nostra specie, anzi forse scoprire il mezzo di cambiar specie - una specie leggera e priva di leggi. In capo a un milione di anni riscoperti nel vasto respiro della notte, un uomo era qualcosa ancora da inventare. Era l'invenzione di se stesso, e tutto non era ancora stato detto.
    E allora... E allora un'aria strana cominciava a riempire i polmoni d'inguaribile leggerezza. Se non fossimo che una favola? Ma in che modo riuscire a... ?
    E se il modo fosse proprio quella leggerezza?
    Un grande scrollarci di dosso tutte le nostre barbare solennità.
    Così pensavamo nel cuore della nostra vecchia foresta, mentre stavamo ancora lì a esitare tra improbabili pagliuzze d'oro e una civiltà che ci appariva ben scaduta e intossicata, benché matematica. Ma un'altra matematica scorreva nelle nostre vene: un'equazione non formulata ancora tra questo mondo enorme e un punto minuscolo pieno da scoppiare di aria leggera e di immensi presentimenti.
    È stato allora che abbiamo incontrato Mère: all'intersezione dell'antropoide ritrovato e di quel «qualcosa» che aveva messo in moto quest'invenzione incompiuta, catturandola per qualche istante in un meccanismo dorato. Niente era giunto alla fine, niente era stato inventato davvero che potesse metter pace e spazio in questo petto di nessuna specie.
    E se l'uomo non fosse stato ancora inventato? Se non appartenesse ancora alla propria specie?
    Una figurina bianca, a ventimila chilometri da quella foresta, sola e fragile in mezzo a un'orda spirituale beatamente convinta che lo yoghi meditante e miracolistico fosse il culmine della specie, cercava il «modo» del passaggio, la realtà di quest'uomo che si crede, per un attimo, arbitro dei cieli oppure arbitro di un meccanismo, e che invece può darsi sia davvero tutt'altro delle sue glorie spirituali o materiali. Un'altra aria leggera sollevava quel petto, sgombro di ogni cielo e di ogni macchina preistorica. Un'altra Storia cominciava. La Materia e lo Spirito si sarebbero dunque ritrovati in una «terza posizione» FISIOLOGICA, che alla fin fine non sarebbe altro che la posizione dell'Uomo riscoperto, quel qualcosa che aveva così a lungo pulsato e sofferto in cerca della propria specie? Mère era il grande Possibile all'inizio dell'uomo. Mère è la nostra favola diventata vera. Tutto è possibile era la sua parola d'ordine.
    Sì, stava in mezzo a un' «orda» spirituale proprio perché, come sempre, il pioniere della nuova specie deve lottare contro il meglio della vecchia specie: il meglio, infatti, è l'ostacolo, la trappola che ci tiene impantanati nelle vecchie paludi dorate. Il peggio si sa benissimo che è peggio. Ma poi ci accorgiamo che quel meglio è solo il volto leggiadro del peggio, della medesima vecchia bestia che si difende con gli artigli sguainati di tutte le santità o di tutti i possibili aggeggi elettronici. Mère stava là in mezzo per tutt'altra cosa.
    «Un'altra cosa» è qualcosa di pericoloso, di minaccioso, di assolutamente sconcertante e insopportabile per tutti coloro che sono come la vecchia cosa. La storia dell' «ashram» di Pondichéry è la storia di un vecchio clan ferocemente attaccato ai suoi privilegi «spirituali», così come altri tengono ai loro muscoli che li avevano fatti re fra le grandi scimmie. Un clan armato di tutte le santità e le ragioni che avevano reso talmente «infallibile» l'uomo logico tra i suoi fratelli meno dotati di cervello. Il cervello spirituale è probabilmente il peggior ostacolo per la nuova specie, proprio come lo erano stati i muscoli del vecchio orangutàn per quel fragile sconosciuto che non sapeva più tanto bene arrampicarsi sugli alberi e cominciava a sedersi, pensieroso, in mezzo a un'incerta radura. Non c'è niente di più moralista della vecchia specie. Non c'è niente di più legale. Mère cercava la strada della nuova specie contro tutte le virtù della vecchia specie, proprio come la cercava contro tutti i suoi vizi o le sue leggi. Perché, a dire il vero, un' «altra cosa» è un'altra cosa.
   Eravamo capitati in quel luogo un giorno di febbraio del 1954. Eravamo appena venuti fuori dalla nostra foresta della Guiana e da un certo numero di giri senza sbocco, come avessimo bussato a tutte le porte del vecchio mondo per arrivare a quel punto d'impossibilità assoluta in cui bisogna davvero approdare a un'altra cosa oppure ficcare una buona pallottola in corpo a questa vecchia scimmia superiore. La prima cosa che ci aveva colpiti era stata quella specie di esotico santuario di Loreto con i suoi bastoncini d'incenso, i suoi santini e le sue prosternazioni in bianco: una Chiesa. La sera stessa del nostro arrivo poco c'è mancato che riprendessimo al volo il primo treno e via verso l'Himalaya, o magari al diavolo. Invece siamo rimasti diciannove anni accanto a Mère. Allora, che cosa poteva trattenerci in quel luogo? Non eravamo certo venuti fuori dalla Guiana per diventare un piccolo santo paludato di bianco e abbracciare una religione. « Non sono venuta al mondo per fondare un ashram, sarebbe un ben misero obiettivo », scriveva Mère già nel 1934. E allora che voleva dire quell' «ashram» che già si era dichiarato proprietario di una grande bottega spirituale? Che voleva dire quella figurina fragile in mezzo a zelanti adoratori? In realtà non c'è modo migliore di soffocare qualcuno che adorandolo: una volta ricopertolo con la cappa dell'adorazione, si acquista oltretutto su di lui una sorta di diritto di proprietà. «Ma perché volete adorare? - esclamava lei -. C'è solo da diventare! È la pigrizia a cambiare che porta all'adorazione.» Lei avrebbe tanto voluto farli diventare un' «altra cosa»; ma era molto più comodo adorare e restarsene tali e quali. E così Mère parlava ai muri. Sì, era molto sola in quell' «ashram». I discepoli vengono a poco a poco a occupare un luogo e poi dicono: è nostro. Ecco che cos'è l'«Ashram». Ed ecco i «discepoli». Pondichéry tale e quale San Pietro o la Mecca. « Non voglio un'altra religione, basta con le religioni ! », lei esclamava. E continuava a battersi e a dibattercisi in mezzo. Avrebbe dunque lasciato la terra come un'ennesima santa o un ennesimo yoghi, sepolta sotto le aureole come una «continuatrice» delle grandi stirpi spirituali? Aveva 76 anni quando siamo capitati là dentro, coltello alla cintola e una bestemmia pronta sulle labbra.
   Ma lei adorava la sfida, e non detestava la bestemmia.
   No, non era «la Madre dell'Ashram di Pondichéry». Ma chi era allora?... L'avremmo scoperto a passo a passo, proprio come si scopre la foresta, o per meglio dire come si lotta contro la foresta, impugnando il machete: e poi tutto si scioglie, e ci ritroviamo ad amare, talmente è bella quella foresta. Mère è cresciuta dentro la nostra pelle come un'avventura per la vita o per la morte. Sette anni abbiamo lottato contro di lei. Era qualcosa di affascinante e di detestabile, di potente e dolcissimo. Veniva voglia di gridare e di mordere, di fuggire e di ritornare sempre di nuovo: «Ah no, non mi acchiapperai mai! Se credi che sia venuto qui per adorare, ti sbagli di grosso!». E lei rideva. Rideva sempre, Mère. Noi avevamo corso avventure a sazietà: smarrirsi nella foresta voleva dire perdersi deliziosamente con addosso la vecchia pelle di sempre; mentre a quel punto non c'è più niente in cui perdersi! Non c'è più da perdersi: bisogna CAMBIAR PELLE. Oppure crepare. Sì, cambiar specie. Oppure diventare un piccolo adoratore in più: nauseante prospettiva, che non era la nostra. « Ognuno è nemico della propria concezione del Divino », ci diceva lei col suo sorriso malizioso. Senza tregua - per sette anni, comunque - abbiamo lottato contro l'idea che ci eravamo fatti di Dio e della «vita spirituale»: comodissimo, ne avevamo un «rappresentante» sottomano. Lei ci lasciava fare. Ci schiudeva anzi le porte di piccoli paradisi (e di alcuni inferni, dato che questi vanno di pari passo con quelli). Ci ha persino dischiuso la porta di una certa «liberazione» che finiva per essere altrettanto soporifera di un'eternità. Ma non c'era da venir fuori da niente: perché quella ERA l'eternità. Ormai, eccoci davvero con le spalle al muro: non c'erano più che 4 m2 di pelle, l'ultima tana, quella da cui avremmo tanto voluto svignarcela da sotto o da sopra, attraverso la Guiana oppure attraverso l'Himalaya. Mère stava a aspettarci al termine delle nostre piroette, spirituali o meno: nella Materia. Era quello il suo campo, infatti. Ci son voluti sette anni perché capissimo che la sua strada cominciava «dove gli altri yoga finiscono», come aveva detto Sri Aurobindo venticinque anni prima. Bisognava aver percorso tutte le strade dello Spirito e tutte le strade della Materia, o comunque un buon numero geograficamente parlando, prima di scoprire o anche semplicemente di comprendere che un' «altra cosa» è davvero un'altra cosa. Non si trattava di uno spirito + né di una materia +, ma come di un... «niente», tanto era diverso da qualsiasi cosa già nota. Per il bruco, infatti, la farfalla è un vero e proprio niente. È qualcosa che neanche si vede, che non ha nulla da spartire coi paradisi dei bruchi, e neanche con la materia dei bruchi. Eccoci dunque con le spalle al muro, davanti all'avventura irreparabile. A quel punto, non era più possibile tornare indietro: bisognava passare dall'altra parte. È stato così che in quel settimo anno, mentre stavamo ancora lì a credere alle liberazioni e a tutte le Upanishad, con in più qualche gloriosa visione tanto per migliorare l'ordinario (che del resto rimaneva tetragonamente tale), mentre stavamo ancora lì a vedere «la Madre dell'Ashram» un po' come un super- «padre spirituale» (sia pur armato di un disarmante sorriso, che poi ci irritava anche moltissimo, come se lei volesse farsi gioco di noi, e invece ci amava di nascosto), un giorno dunque di quel settimo anno, Mère ci ha detto: «Ho la netta sensazione che TUTTO quello che abbiamo vissuto, tutto quello che abbiamo appreso, tutto quello che abbiamo fatto, che tutto insomma sia una perfetta illusione... Quando avevo avuto l'esperienza spirituale che la vita materiale è un'illusione, avevo trovato quell'esperienza talmente meravigliosa e gioiosa da essere davvero uno degli avvenimenti più belli della mia vita; ma adesso è tutta la costruzione spirituale quale l'abbiamo vissuta che è diventata illusione! Non la stessa illusione, un'illusione ben più grave. E non che io sia poi una bambina: fanno quarantasett'anni che sono qui! ». Sì, a quel momento Mère aveva 83 anni. E a quel momento abbiamo smesso di essere «nemico della nostra stessa concezione del Divino»: proprio perché tutto il Divino andava a sbattere il naso per terra. Allora, finalmente, incontravamo Mère. Ovvero quel mistero chiamato «Mère»: che non ha cessato d'essere un mistero fino ai suoi 95 anni, e continua ad esserlo tuttora. Oggi ancora, infatti, lei ci sfida dall'altra parte di un muro d'invisibilità, lasciando che ci districhiamo da soli in questo fitto mistero. Ci sfida con un sorriso. Sorride sempre, lei. Ma il mistero non è stato risolto.
    Questa Agenda servirà forse proprio a tentare di risolvere il mistero, in compagnia di un certo numero di fraterni iconoclasti.
    Che c'entra allora «la Madre dell'Ashram»? E che c'entra «l'Ashram», se non in quanto museo spirituale delle resistenze all'altra cosa? Stavano ancora lì - stanno ancora lì - a predicare il loro catechismo sotto una piccola bandiera: sono i proprietari della nuova verità. Ma la verità nuova se ne infischia altissimamente di loro e lascia che stiano lì a seccarsi in riva alla loro povera pozza. Si immaginano che nel 1977 Mère e Sri Aurobindo, 27 o 4 anni dopo che se ne sono andati, continuerebbero a ripetersi ! Se lo facessero, non sarebbero Mère e Sri Aurobindo: sarebbero dei fossili. La verità è sempre in movimento. La verità sta con quelli che osano, che hanno coraggio, e prima di tutto il coraggio di strappare i santini, di demistificare, di andare DAVVERO alla conquista del nuovo. Il «nuovo» è molto faticoso, è scoraggiante: proprio perché non somiglia a niente di noto ! Non si può sventolare la bandiera di un paese non conquistato. E il bello è proprio che tale paese non esiste ancora: che c'è da FARLO DIVENTARE. L'avventura non è bell'e fatta: è da fare. La verità non sta racchiusa in una scatola, fossilizzata e «spiritualizzata»: è tutta da scoprire. Ci troviamo in un niente che bisogna far diventare qualcosa. Ci troviamo in piena avventura della nuova specie. Una specie nuova è evidentemente qualcosa che contraddice la vecchia specie e le povere bandiere del già noto. Una nuova specie non ha niente in comune con le vette spirituali del vecchio mondo; ne coi suoi abissi: deliziose tentazioni per quanti ne hanno abbastanza delle vette. Invece tutto è uguale, in nero o in bianco; tutto è fraterno, in alto e in basso. Ci vuole UN'ALTRA COSA.
    « Forse che tu sei cosciente delle tue cellule ? », ci chiedeva lei dopo quella certa operazioncina di demolizione spirituale. «No? Beh, allora prova a diventare cosciente delle tue cellule e vedrai che ci saranno risultati TERRESTRI. » Diventare coscienti delle proprie cellule?... Un'operazione ben più radicale che attraversare il Maroni a colpi di machete: dopotutto, gli alberi e le liane si può pur sempre tagliarli; ma non è mica altrettanto semplice eliminare dentro di noi il nonno e la nonna e tutta la sfilza atavica, per non parlare di quegli infiniti strati animali, vegetali e minerali che formano un humus formicolante al di sopra di una sola piccola cellula pura, incrostata di un programma genetico millenario. I nonni e le nonne rispuntano come la gramigna, assieme a tutte le vecchie abitudini di aver fame, di aver paura, di ammalarsi, di temere il peggio e di sperare il meglio, il quale poi non è nient'altro che il meglio della vecchia abitudine mortale. Non sono cose che si sradicano così facilmente; nè che si acchiappano altrettanto facilmente delle «liberazioni» celesti: le quali lasciano stare tutto quel brulichio, lasciando che il corpo si deteriori pure come al solito. Lei era venuta a dare un gran taglio in quell'intrico. Era l'Antica dell'evoluzione che veniva ad aprire una nuova breccia nella vecchia abitudine rifritta di continuare ad essere sempre uomini. A lei non piaceva rifriggere sempre le stesse cose. Era l'avventuriera per antonomasia - l'avventuriera della terra. Metteva a nudo per l'uomo il grande Possibile che pulsava in quella prima radura e che egli aveva creduto, per un attimo, di intrappolare in qualche macchina. Metteva a nudo una nuova Materia, libera, priva dell'abitudine di continuare ad essere per forza sempre un uomo che si ripete e si ripete in perpetuità, più qualche miglioramento in fatto di trapianti organici o nel campo della circolazione fiduciaria. In realtà Mère stava là proprio per trovare che cosa viene dopo il materialismo e lo spiritualismo, veri e propri fratelli siamesi. È infatti per l'identica ragione che in Occidente sta crollando il materialismo e in Oriente si va sfaldando lo spiritualismo: perché è il tempo della specie nuova. L'uomo ha bisogno di scrollarsi di dosso non solo i suoi dèmoni, ma anche i suoi dèi. Una nuova Materia, sì, al pari di un nuovo Spirito, sì: non conosciamo infatti ancora nè l'una nè l'altro. È il tempo in cui sia la scienza che la spiritualità, giunte al termine del loro tragitto, hanno da scoprire che cos'è DAVVERO la Materia, perché è nella Materia che si cela lo Spirito che non conosciamo ancora. È il tempo in cui tutti gli «ismi» della vecchia specie cadono a pezzi: «L'età del capitalismo e degli affari volge alla fine - lei diceva -. Ma anche l'epoca del comunismo passerà... ». È il tempo di una piccolissima cellula pura CHE AVRÀ EFFETTI TERRESTRI, infinitamente più radicali di tutte le nostre panacee politiche e scientifiche oppure spiritualistiche.
    Tutta la storia dell'Agenda sta in questa prodigiosa scoperta. Qual è il passaggio ? Come si fa ad aprire la strada della nuova specie?... E poi ecco che d'un tratto, dall'altro lato della millenaria abitudine - si tratta infatti di un'abitudine, di nient'altro che un'abitudine! - di continuare ad essere un uomo munito di tempo e di spazio e di malattie, di tutta una geometria implacabile e «scientifica» e perfettamente clinica, ecco d'un tratto che dall'altro lato... non c'è più niente di tutto questo! Nient'altro che un'illusione, una fantastica illusione cllnica, scientifica e genetica: e la morte non esiste e non esiste il tempo e non esiste la malattia, come non esistono più il «vicino» e il «lontano»; ma un'altra maniera di essere IN UN CORPO. Per tanti milioni di anni eravamo vissuti prigionieri di un'abitudine, avevamo ridotto a teoremi il nostro pensiero del mondo e della Materia. Adesso, niente più leggi! La Materia è LIBERA. E così può formare una lucertola, uno scoiattolo, un pappagallo - ne ha sfornati abbastanza di pappagalli. Adesso è il tempo di UN'ALTRA COSA: se noi lo vogliamo.
    Mère è la storia della Terra libera. Libera dai suoi pappagalli spirituali e dai suoi pappagalli scientifici. E libera anche dai suoi piccoli ashram - non c'è niente di più irremovibile di quei pappagalli là.
    Giorno per giorno, nel corso di 17 anni, Mère ci faceva andare da lei per raccontarci il suo impossibile cammino. Ah, come ci è chiaro adesso come mai avesse tanto bisogno di un fuorilegge e di un eretico della nostra tempra che comprendesse un poco il suo impossibile andare in un «niente»! E come capiamo adesso l'infinita pazienza che aveva malgrado tutte le nostre rivolte, che alla fin fine si riassumevano nella rivolta della vecchia specie contro se stessa. L'ultima rivolta. « Non è solo contro il governo britannico che bisogna ribellarsi: bisogna ribellarsi contro la Natura materiale intera! », esclamava Sri Aurobindo cinquant'anni prima. Lei stava ad ascoltare le nostre proteste, ci guardava partire e ritornare: poiché non ne volevamo più sapere e ne volevamo ancora. Era qualcosa di infernale e di splendido; era impossibile e era il solo possibile in questo vecchio mondo soffocante. Era l'unico luogo in cui andare in questo mondo robotizzato e cinto di fili spinati, dove Hong Kong in volo charter somiglia a un formicaio qualsiasi d'Europa. La specie nuova era l'unico luogo libero nella Prigione generale. Era la speranza della terra. Stavamo ad ascoltare la sua vocina esitante che sembrava venire da talmente lontano, attraversando distese di sargassi mentali per lasciar cadere le parole come piccole gocce cristalline, quelle sue parole che fanno vedere. Vi si ascoltava l'avvenire, si toccava con mano l'altra cosa. Qualcosa d'incomprensibile eppure impregnato di un'altra comprensione. Qualcosa che ci sfuggiva da tutte le parti eppure carico di una folgorante evidenza. Un' «altra specie» era davvero qualcosa di radicalmente altro, e che tuttavia vibrava dentro come un riconoscersi assoluto, come fosse proprio QUELLO che eravamo andati cercando di età in età, QUELLA la COSA che avevamo sempre chiamato sotto tutte le illuminazioni, a Tebe come ad Eleusi e come ovunque avessimo sofferto dentro a una pelle d'uomo. Era per QUESTO che stavamo qui, per il supremo Possibile finalmente dentro una pelle d'uomo. Ma la voce di lei diventava sempre più esile, il suo respiro si faceva più ansante, come se per raggiungerci dovesse attraversare distanze sempre e sempre più grandi. Era talmente sola a picchiare e picchiare contro i muri della vecchia prigione. C'erano tanti artigli attorno a lei. Oh, ci saremmo sganciati in quattro e quattr'otto da quel guazzabuglio per volar via con lei nell'avvenire del mondo! Era piccola piccola, piegata su se stessa, come schiacciata sotto il fardello «spirituale» che tutta la vecchia specie attorno le scaricava addosso. No, loro non ci credevano. Per loro, lei aveva 95 anni + tot giorni. E allora come può una persona da sola diventare di una nuova specie? Protestavano, anzi, perché ne avevano abbastanza di quell'insopportabile Raggio che metteva in luce le loro sordide storie. L'Ashram si richiudeva lentamente su di lei. Il vecchio mondo voleva erigere una nuova piccola Chiesa dorata, tranquilla tranquilla. No, nessuno voleva DIVENTARE. Adorare è talmente più comodo. E poi ti mettono sottoterra con tutte le solennità, ed è fatta: non c'è più da fare un passo; bastano gli altarini, le fotografie con tanto di aureola per i pellegrini della furba trovata. Ma si sbagliano. La Cosa verrà trovata senza di loro, e la specie nuova gli schizzerà davanti al naso. Del resto, sta già schizzando davanti al naso del mondo intero, a dispetto di tutti i suoi ismi in nero o in bianco. Sta scoppiando attraverso tutti i pori di questa Terra devastata, che ne ha abbastanza di far finta di niente, contenta dei suoi cieli piccini o dei suoi poveri meccanismi barbarici. È il tempo della Terra VERA. È il tempo dell'uomo VERO. Ci stiamo andando tutti - se soltanto conoscessimo un poco la strada.
    Ma questa Agenda non è neppure una strada: è una piccola vibrazione leggera che ti coglie a una svolta qualsiasi - e poi è fatta, ci sei DENTRO. «Un altro mondo nel mondo», diceva lei. Bisogna afferrare la piccola vibrazione leggera, bisogna lasciarcisi andare, portati da un niente che è come il solo qualcosa in mezzo allo sfacelo immane. All'inizio delle cose, quando niente era ancora FISSO, quando non esisteva ancora una certa abitudine di pellicano o di canguro, di scimmia superiore o di biologo del XX secolo, esisteva solo una piccola pulsazione che batteva e batteva come una deliziosa vertigine, come una gioia della grande avventura del mondo. E una piccola scintilla mai imprigionata continua ad ardere e ad ardere di specie in specie, come non fossimo arrivati mai, come se tutto si trovasse laggiù e ancora laggiù, e non ci fosse che da diventare perdutamente, da giocare per sempre l'unico grande gioco del mondo. Una cosa da nulla che aveva lasciato pensieroso, in mezzo a una radura, quel principio di uomo. Un minuscolo «qualcosa» che batte e batte, che respira e respira sotto tutte le pelli che ci son state messe sopra, un qualcosa che è come il nostro respiro profondo, la nostra aria leggera, la nostra aria da niente. E che continua e continua. C'è solo da mettersi nel piccolo respiro leggero, cogliere quel minimo pulsare per niente. Ed ecco allora che d'improvviso, al limite della nostra radura di cemento armato, sentiamo la testa girarci irrimediabilmente, e gli occhi sbattere improvvisamente le palpebre davanti a un'altra cosa: e tutto diventa diverso e carico di senso, carico di vita come se fino a quell'attimo non avessimo vissuto mai. Allora vuol dire che abbiamo acchiappato per la coda il Grande Possibile, che siamo sulla strada senza strada, nel radicalmente nuovo: e ci mettiamo a correre con la lucertola e il pellicano e il grande uomo, a correre dappertutto in un mondo che ha lasciato cadere la sua vecchia pelle separata e il suo povero bagaglio di abitudini. Allora cominciamo a vedere in un altro modo, a sentire in un altro modo. Un varco si è aperto su una radura impensabile. Appena una piccola vibrazione leggera che ci porta. Allora cominciamo a capire come sia POSSIBILE CAMBIARE, grazie a quale meccanismo: un meccanismo leggero e talmente miracoloso da non aver l'aria da niente. Cominciamo a sentire la meraviglia di una piccola cellula pura, a sentire che basterebbe un poco di gioia per far ribaltare completamente il mondo. Stavamo rinchiusi dentro a un minuscolo acquario pensante, e credevamo che quella fosse la vita; per poi morire grazie a una vecchia abitudine messa in bottiglia. Mentre invece è tutta un'altra cosa. La Terra è libera! Chi vuole la libertà?
    Ma è in una cellula che comincia la nostra liberazione.
    In una piccola cellula pura.
    Mère è la gioia della libertà.
    Buona Agenda!
 
 
                                                                                                            SATPREM

                                                                                                            "Deer House",
                                                                                                            Nandanam,
                                                                                                            19 agosto 1977

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